giovedì 15 gennaio 2015

Recensione Bar Sport

Autore: Stefano Benni
Titolo: Bar Sport
Casa editrice: Universale economica Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 1976 (prima pubblicazione)


Libro che  miei genitori hanno in casa.  


Giudizio sintetico:





Trama:
Trama? Non è un uso proprio della parola, se la applichiamo a questo libro. Infatti, quello che accomuna un po’ tutto, è il bar: cosa succede, che gente c’è, di cosa si parla… Ogni tanto, però, si mette a parlar d’altro, scrivendo storie dentro a storie.  


Giudizio personale:
Libro che conoscevo anche grazie all’omonimo film comico. Se devo dare un giudizio personale, vorrei dire che è un libro strano. Possiamo dire che l’autore salta “di palo in frasca”. Da una cosa, ad un altra che non c’entra assolutamente nulla. E’ un libro comico, anche se non tutte le battute le ho capite (colpevole anche il fatto che è un libro vecchiotto, e i bar come li descrive Benni non esistono più). In ogni caso, è un libro molto carino e piacevole da leggere, soprattutto i primi capitoletti. Ve lo consiglio, se vi piace la comicità realistica, ma allo stesso tempo assurda.


Esercizio di ricontestualizzazione:
<< La Luisona era la decana delle paste, e si trovava lì dal 1959>>.


LA STORIA DELLA LUISONA


La Luisona era la decana delle paste, e si trovava lì dal 1959. Questa data, è simbolica per il bar sport, visto che arrivò la storica Luisona. Una domenica sera, il professore chiese la presenza di tutto il bar il lunedì, alle 18:00, chiedendoci anche di spargere la voce. Il giorno dopo, all’ora stabilita erano presenti tutti. Il professore entrò gongolante (ognuno di noi sapeva che ci saremmo dovuti sorbire una storia noiosa e molto lunga, ma quella volta non fu così). Egli si sedette e disse:<< Ho scoperto la storia della Luisona>>. Ci fu un brusio generale, ma il barista chiedette silenzio. Il professore riprese:<<Siamo a fine ‘800. Il miglior fornaio della città di Dresen (Germania) decise di creare un dolce immenso e gustosissimo, che nessuno avrebbe potuto non mangiare. Questa pietanza, doveva essere riservata al re di Germania Guglielmo II. Il fornaio decise di fare tutto ciò per avere alcuni favori dal re, quali migliorare la propria condizione di vita. Egli lavorò giorno e notte e riuscì a produrre una pasta, che chiamò bertragungsgesetz. Essa, però, aveva un nome in codice: BZ, cioè una marca di di sigarette dell’epoca. Egli gli diede questo soprannome cosicché, nel tragitto da città a città (estremamente lungo) nessuno potesse capire cosa stava trasportando realmente se glielo avessero chiesto. In particolare, visto che non aveva pranzato, Otto Von Bismarck era sulle tracce del famigerato dolce di cui era venuto a conoscenza tramite la moglie del fornaio, che lavorava come sguattera presso le cucine dell’imperatore, ma non riuscì mai a trovarlo, proprio grazie a questo stratagemma. Egli morì di fame nel tentativo di recuperarla (nessuno lo sa) nel 1898. Dopo aver affrontato tante avversità e tentativi di furto, il fornaio arrivò a Potsdam, sede della residenza reale. Egli arrivò davanti al palazzo e riuscì ad infiltrarcisi dentro. Il re, però, adirato (aveva perso alle scommesse sui cavalli) lo cacciò via e lo buttò nelle segrete, tenendosi per sé il dolce. Ne assaggiò un pezzettino, e scoprì che era stupendo. Lo mise in una vetrina e lo lasciò lì, per paura che si potesse rovinare. Egli, però, si dimenticò di liberare il fornaio, che morì nel carcere dopo pochi giorni (tutti si erano dimenticati di lui). Questa stupenda pasta rimase nella teca di vetro del re per molto tempo (siamo nel 1900). Guglielmo II la contemplò ogni giorno, ad ogni ora, ma non la mangiò, perché era troppo bella. Passa una decina d’anni (più precisamente quattordici) e scoppiò la prima guerra mondiale.>>. Il professore si fermò bevve un bicchiere d’acqua e, con gli occhi di chi sta per fare una sconcertante scoperta, riprese a parlare:<< Tutto quello su cui si basa la prima guerra mondiale è in realtà falso: l’unico motivo del suo scoppio è il bertragungsgesetz>>. Ancora brusio generale, ma il barista silenziò di nuovo tutti. Il professore riprende:<< L’Austria, per rimanere nella triplice alleanza, chiese alla Germania di cederle il bertragungsgesetz, in cambio, anche, di ventimila strudel. La Germania accettò. Il BZ passò quindi sul fronte austriaco, e venne nascosto a Trento, perché erano sicuri di non poter perdere la guerra. L’Italia, però, avendo battuto l’Austria, chiese Trento e Trieste, e, di conseguenza, ottenne anche il bertragungsgesetz. Vittorio Emanuele III era, però, diabetico, e non voleva avere alcun dolce in casa. Esso fu, quindi, messo all’asta, e comprato per cinquemila lire da un padre con una bimba viziata, di nome Luisa. Questa bambina era grassottella, quindi il dolce fu rinominato Luisona (ecco il perché del nome). Luisa, essendo una bimba viziata, decide che il dolce non lo vuole mangiare, ma solo conservare. Così, il padre, fu costretto a comprare una teca a muro di cristallo, per contenere la Luisona. Passano una trentina d’anni, e il dolce rimane lì, messo da parte, fino a a che non scoppia la seconda guerra mondiale. Questa volta, la Luisona è dimenticata, quindi la guerra si svolge senza nessun interesse verso di essa. Duranti i bombardamenti su Torino (era lì che viveva la ragazza) la casa si distrusse, ma la Luisona rimase intatta (per chi lo volesse sapere Luisa si era trasferita a Poggibonsi, vivendo una vita felice, ma dimenticandosi del suo “pezzo da collezione”). Un soldato tedesco la prese, e la portò con sé nel suo accampamento, la custodì gelosamente (tanto che si dimenticò di mangiarla) fino alla fine della guerra. Quando la Germania perse la guerra, il soldato si trasferì in Italia, a Bologna precisamente, per sfuggire da un gruppetto di ragazzi a cui doveva dei soldi, avendo perso la scommessa su chi vincesse la guerra (erano circa ventimila marchi). Egli trovò casa, e visse una vita felice insieme alla sua Luisona, che ancora custodiva. Un giorno (siamo nel 1959) il soldato, ormai vecchio, si chiese cosa se ne facesse di quella pasta ormai ammuffita, e decise di liberarsene. Riuscì a spacciarla e a venderla come “la pasta migliore al mondo” all’ex gestore del nostro bar sport per un milione di lire. Egli , dopo poco tempo, dovette cedere la gestione. Infine, la pasta rimase lì, in quella teca, fino ai giorni nostri.>> Ci fu un applauso generale che svegliò tutto il palazzo, ma, e questo bisogna riconoscerlo, il professore ha fatto una grande scoperta.  

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